Comitato Regionale

Emilia-Romagna

Insieme per progredire insieme

L'unione di judo e diversabilità come esperienza per agire sul tessuto sociale. La testimonianza del padre di una giovane diversabile sulla sua storia di sport con la Uisp.

Judo e diversabilità in Uisp - Foto di Giorgio Sozzidi Carla Gallusi


Quando mi sono state chieste considerazioni sul judo legato alle diverse abilità la mia reazione immediata è stata di fastidio. Su questo argomento ho un'istintiva ritrosia: troppe volte infatti l'esposizione dell'handicap, unita alla retorica che spesso la riveste, mi ha fatto pensare all'attenzione verso questo tema come ad un modo in più per acquietare i nostri sensi di colpa piuttosto che ad una forma di reale interesse. Al contempo, però, mi contraddico, convenendo che la visibilità può essere un elemento di sostegno nei confronti dell'omertà non ancora sconfitta.

Nell'Uisp, un'associazione che per naturale principio statutario e vocazione rappresenta il luogo deputato all'integrazione, la memoria sul tema delle diverse abilità è corsa ai congressi ed alle tante assemblee elettive di Lega, che raramente hanno escluso dai propri programmi le voci handicap e disabilità, inducendomi a ritenere che l'argomento fosse ormai esaurito. A fronte di questi dati, non saprei infatti cos'altro aggiungere. Poi, come in un flashback, mi passano davanti agli occhi i ragazzi speciali che da anni sono all'interno della mia palestra a Reggio Emilia, così come tutti gli altri della regione, ed assieme a loro mi tornano in mente i racconti e le esperienze riportatemi nel corso degli anni e gli atleti che ho avuto modo di incontrare. Come non ricordare, in un torrido luglio, l'allenamento della nazionale ciechi in palestra in vista di un loro mondiale...
 
E allora penso che per chi pratica judo nello spirito del fondatore Jigoro Kano, seguendo quindi i principi "Insieme per progredire insieme" o "Corpo, mente e cuore", è consequenziale che la palestra di judo sia tra i luoghi ideali sia per un percorso di integrazione che per un tentativo di ricerca delle proprie potenzialità nascoste. Guardando i "miei" ragazzi rivedo il loro ante-judo e la tanta strada percorsa; i genitori grati dell'accettazione ma pronti, poiché già abituati, anche all'elegante rifiuto; la dedizione dei loro insegnanti e le dubbiose riflessioni affiorate nonostante la tanta strada percorsa.

L'impagabile lavoro degli insegnanti, infatti, è demandato principalmente all'esperienza, al buon senso e alla disponibilità. Ciò nonostante alcuni interrogativi sorgono: fino a che punto infatti la volontà e la motivazione potranno sostenere l'operato che spetterebbe per buona parte alle parti sociali? È sufficiente il nostro lavoro? Temo di no. I tecnici, ma non solo, hanno la doverosa esigenza di ricevere un segnale specifico sul lavoro che svolgono o comunque elementi per poter essere perlomeno adeguati al mondo della disabilità e del disagio. Su questo tema l'Area Discipline Orientali Uisp ha proposto in tanti suoi contesti istituzionali, battendo spesso sul tempo gli altri, momenti di riflessione e progetti esterni più che apprezzabili, ma fini a sé stessi e al loro vissuto. Per questo credo che, soprattutto in questo momento di alta preoccupazione per il clima politico di paura e incertezza e in cui sembra essere in atto una regressione in molti campi del vivere sociale, si debba valutare la possibilità di dare vita concreta ad un laboratorio-osservatorio a protocollo Ado dedicato non solo all'handicap ma a tutto il sociale incrinato.
 
In tale percorso l'Emilia Romagna può proporsi come avanguardia, seppur con le presumibili difficoltà di ordine anche economico, facendo confluire in uno studio i risultati di un censimento e le preziose esperienze delle società della regione, dalla cui ricognizione potrebbe scaturire il giusto profilo ad una consona guida formativa. Ciò inoltre permetterebbe anche di conoscere meglio il nostro corpo sociale, talvolta visto solo in veste di tesserato. L'esigenza alla base di questo lavoro dovrebbe prescindere dal desiderio di paternità di progetti nuovi, magari anche al di sopra delle nostre possibilità: il nostro bisogno è infatti solo quello di costruire uno spazio che permetta una prospettiva migliore condividendo le stesse difficoltà.

Assieme al suo contributo Carla Gallusi ha voluto fornire un'ulteriore spunto di riflessione al lettore, riportando la testimonianza di un genitore sulla funzione che lo sport può avere nel campo della diversabilità. Per rispetto della sfera privata dell'autore e della sua famiglia pubblichiamo questo racconto utilizzando nomi di fantasia (ndr).

Riporto l'esperienza di mia figlia Luisa, 21 anni compiuti, al corso di judo tenuto dal maestro Toni a Reggio Emilia. Per farsi un'idea di quali siano state le sue difficoltà bisogna soffermarsi su alcuni aspetti della sua storia. Luisa è entrata a far parte della nostra famiglia all'età di circa due anni. Sapeva appena pronunciare qualche parola e aveva iniziato a camminare verso i tre anni. Fino a quel momento non solo era stata deprivata affettivamente, ma era cresciuta in condizioni fisiche disagevoli. Presentava episodi epilettici esauritisi per fortuna già verso i sei anni. È stata indirizzata dal fisiatra a praticare nuoto sia per problemi di lordosi alla colonna vertebrale che per muscolatura lassa alle gambe. Dopo vari tentativi d'approccio non attecchiti a corsi di nuoto, Luisa ha per fortuna trovato una brava istruttrice specializzata nell'insegnamento a ragazzi con difficoltà cognitive e neuromotorie, che l'ha portata nel giro di qualche anno a impadronirsi delle tecniche base riuscendo a frequentare i percorsi normali.

Durante tutto il suo periodo di frequenza scolastica non sempre ha trovato nella scuola un sostegno adeguato alle sue difficoltà, sia per discontinuità e frammentarietà del servizio che per mancanza di personale all'altezza della situazione (diversamente da quanto accaduto invece nella scuola materna anche con la struttura del servizio di neuropsichiatria infantile). Anzi, il dispositivo scolastico stesso non prestava la giusta attenzione e semmai tendeva a rimuovere il problema dei ragazzi con difficoltà certificate. Il nostro principale cruccio di genitori era che Luisa avesse la possibilità di intrecciare delle normali relazioni con i suoi coetanei. A scuola però c'è stato solo lo stabilirsi di qualche rapporto, poi non consolidatosi, con compagne di classe aventi anche loro delle difficoltà.

Così l'abbiamo invogliata a frequentare gli scout ma, nonostante la buona volontà dei responsabili all'associazione, Luisa non è riuscita a stabilire nessun legame significativo finendo poi col troncare dopo qualche anno. Poi è successo che, dopo essere andati per caso a vedere un'esibizione di judo dal maestro Toni di un ragazzino del nostro condominio, Luisa ci ha chiesto di iscriverla alla palestra. Questa sua decisione ci ha sorpreso e al tempo stesso ha suscitato qualche perplessità. Non so quale molla fosse scattata in lei. Ad ogni modo l'abbiamo sollecitata a riflettere bene su questo passo, temendo che fosse solo la voglia di un giorno.

Ormai sono quasi sei anni che mia figlia pratica judo con continuità e discreta passione. Allora ero scettico sulla durata di questa scelta e ora non posso negare di provare un certo orgoglio. Sta di fatto che anch'io sono iscritto alla palestra da circa due anni, rinnovando una passione giovanile per le arti marziali. Posso constatare che Luisa ora è più tranquilla e serena, ha stabilito delle relazioni con le ragazze della palestra, le considera sue amiche e tiene molto in considerazione il loro parere e i loro consigli. Il maestro Toni e i suoi collaboratori sono riusciti con pazienza e attenzione, oltre che con autorevolezza e competenza, a farle superare le difficoltà sia fisiche che tecniche dell'approccio al judo. Il carattere non solamente competitivo dell'insegnamento della disciplina, l'attenzione alle diversità delle abilità fisiche e alla crescita delle qualità umane dei ragazzi praticanti, il farli sentire parte di una squadra unita e solidale nonostante il carattere individuale del judo penso siano stati i punti di forza grazie ai quali Luisa è riuscita ad accrescere le sue abilità e maturare un suo equilibrio.

Constatando che non sempre la famiglia, la scuola o il lavoro sono momenti di crescita dei ragazzi (e in questo senso si possono considerare tutti fragili) ho notato come il judo, se insegnato con un'impostazione non scolastica e non autoritaria, permette ai ragazzi di comunicare meglio tra di loro, di scaricare le tensioni della giornata e di non cadere nello stress dell'allenamento. Sono condizioni che permettono ai praticanti maggiori opportunità di impegno e di scelte più mature, non solo nello sport.

Michele

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